L'antifona “In paradisum” è uno di quei canti unici nel repertorio liturgico occidentale che non è esattamente liturgico, di per sé, ma è paraliturgico, in quanto cantato ai funerali.
In paradisum deducant te Angeli; in tuo adventu suscipiant te martyres, et perducant te in civitatem sanctam Ierusalem. Chorus angelorum te suscipiat, et cum Lazaro quondam paupere æternam habeas requiem.
In Italiano, la mia traduzione:
Nel Paradiso ti conducano gli Angeli, e al tuo arrivo il coro dei martiri ti accolga nella Gerusalemme celeste. Assieme a Lazzaro il poverello e alle schiere celesti possa tu gioire della dimora divina, e riposare in pace.
La sua melodia è nel settimo modo "gregoriano" (mixolidiano), e in termini musicali più moderni, ha un settimo grado abbassato molto distinto della scala maggiore, cantato due volte nelle frasi Chorus Angelorum e quondam paupere. Viene cantato proprio alla conclusione della Messa da Requiem (Messa per i defunti), quando il corpo del defunto viene portato dalla chiesa alla tomba. Il compositore del testo e della musica è sconosciuto e ho avuto difficoltà a rintracciare anche il secolo in cui è entrato nei libri di servizio. La sua provenienza sembra avvolta nel mistero, ma il suo messaggio è così potentemente universale.
L'accoglienza dell'anima nel suo viaggio in paradiso da parte di tutti gli angeli e martiri mentre il corpo compie il suo ultimo viaggio verso la tomba per mano degli Ecclesia militans è un'immagine potente. Il personaggio di Lazzaro della parabola di Gesù nel Vangelo di Luca 16:19-31 è indicato come colui che, sebbene un tempo fosse povero qui sulla terra (come lo siamo tutti, o quasi), ha il dono benedetto del requiem æternam, quel riposo eterno che non è solo una mancanza di attività, ma la pienezza che deriva da un'opera compiuta, lo shalom di cui parlavano gli Ebrei, e il riposo regale, sul trono e regnante che Dio assunse il settimo giorno della creazione nel suo grande Shabath (שָׁבַת). È quel riposo, quella pace per la quale si prega in nome dell'anima appena defunta.
Il giudizio finale, nelle Scritture e nella teologia ortodossa, segna la fine di questo mondo, ma anche la fine di quello che era il pacifico “seno di Abramo” nello Sheol di cui gode Lazzaro nel racconto ed è ora il paradiso sbloccato promesso al morenti ladrone da Gesù sulla Croce. Le anime dei giusti (come Lazzaro e Abramo) vengono ammesse in paradiso quando Gesù sconfigge la morte e butta giù le porte dell'Ade/Sceol, e iniziano a pregustare il loro vero riposo e pace eterna, che è finalmente e veramente è inaugurata a il giudizio finale, lo scioglimento degli antichi elementi di questo cosmo nel fuoco e il dispiegarsi dei nuovi cieli e della terra.
Quindi In paradisum è una preghiera intenzionalmente speranzosa ma circospetta. Mentre gli angeli e i martiri e persino il riposo di cui canta sono tutti eterni, il paradiso stesso è solo un luogo di attesa, adatto a un'anima che non sarà completa né raggiungerà il suo telos finché non sarà riunita al suo corpo nella risurrezione, e nel suo giudizio finale sarà concessa la ricompensa paradossalmente "riposante" ma attiva di viaggiare sempre più nel seno di — non padre Abramo — ma del nostro Padre celeste, nostro Creatore e Dio, di gloria in gloria.

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