E' passata la Settimana Luminosa, in latino chiamata in Albis (a motivo degli vestimenti candidi che si portano). Abbiamo venerato il sepolcro vuoto, cantato il magnifico inno Christus Surrexit Hodie ai Vespri, e abbiamo gioito nel corpo e nello spirito dopo le fatiche della Settimana Santa. E alla prima domenica dopo Pasqua, la cosiddetta "ottava" o "anti-pascha" per usare una terminologia più orientale, abbiamo udito il Vangelo dell'incontro fra il Signore risorto e l'incredulo Tommaso.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20:19 – 25).
In questo brano che succede alla Resurrezione del Signore, nel ciclo annuale della formazione cristiana che deriva dalle letture susseguenti durante l'anno, percepiamo tre importanti dettagli: il mandato universale della Chiesa (come il Padre mandò me, io mando voi), la pace spirituale e divina che deriva dalla benedizione di Cristo e la presenza del Paraclito nella Chiesa (ricevete lo Spirito Santo), e infine la promessa della beatitudine eterna ai cristiani di ogni epoca (benedetti coloro che pur non avendo visto crederanno). Ecco, gli Apostoli cominciano a vedere chiaramente la loro chiamata non solo ad una scuola filosofica, una appartenenza ad una società spirituale - come ne abbondavano tante al tempo di Gesù Cristo - ma ad una missione totalmente nuova, tale da trasfigurare il mondo intero. La chiamata apostolica riguarda tutti noi. Siamo tutti apostoli in quanto siamo tutti chiamati a diffondere il Vangelo e a essere portatori dello Spirito Santo. L'azione pneumatica della Chiesa è a torto solitamente ritenuta solamente presente nella confessione ("rimettere i peccati"). E' vero, il sacerdozio di derivazione apostolica rimette i peccati degli uomini in virtù del sigillo sacerdotale, ma anche fra noi fratelli e sorelle ci perdoniamo vicendevolmente. Questo atto di amore riflette quello più grande del perdono divino. I due aspetti della "confessione" - sacramentale o di carità fraterna - sono strettamente legati. Gli antichi canonarii ecclesiastici infatti proibiscono, ad esempio, al sacerdote di dire Messa se "non è in pace con tutti". Proprio per questo è fondamentale questo passaggio che Cristo ricorda a tutti nel segno degli Apostoli: rimettete i peccati degli altri. Ovvero, in altre parole, perdonatevi e perdonate, così come il Signore perdona. Un segno potente in questo mondo egoista e vile, nel quale non c'è spazio per il vero pentimento, e neanche - oso dire - una adesione formale ai dogmi della Chiesa. Oggi siamo chiamati più che mai a discernere lo spirito del tempo e a vivere nella Pasqua di Cristo. Dobbiamo vivere una vita "in albis", nella gioia della Pasqua, ma anche nei suoi segni più difficili: non c'è salvezza, non c'è Paradiso se non riconosciamo nel Signore Risorto la verità di vita, la sublime e piena fonte dell'esistenza umana. San Tommaso è chiamato in Occidente "l'incredulo", mentre in India - dove egli evangelizzò e morì martire - è chiamato "il coraggioso". Ironico, ma non troppo. La vita dell'apostolo Tommaso è essa stessa un segno di grazia. Tommaso, un vero uomo con i suoi limiti, è proprio ognuno di noi. Preso dalla vita, dal dolore, dall'incredulità, non può credere alle parole degli altri. Spesso anche noi siamo sospettosi, pensiamo e vediamo i vicini e gli altri come dei nemici, come degli scaltri che tentano di farci del male. Ma invece ecco che tuona potente la voce del Risorto: pace a voi. A tutti voi. Il saluto tipicamente orientale di "dare la pace" ecco che diventa non solo un augurio, ma una promessa mantenuta. Anche noi diamo la pace ai nostri vicini, parenti, conoscenti, colleghi. Dobbiamo diventare noi stessi operatori di pace, per ereditare il Regno dei Cieli, come ci ricorda il Signore nel suo sermone sulla Montagna. Ecco, Tommaso ha visto, ha creduto, e non ha mai dubitato nel futuro. Ha vissuto la sua vita nell'impegno dell'evangelizzazione fino alle estreme conseguenze. Ecco l'integrità umana, ecco il buon orgoglio di essere cristiani! Non più paura, perché i nostri occhi hanno visto il sepolcro vuoto, e sappiamo che non c'è altro per cui vale la pena vivere, se non il prepararsi degnamente al nostro ultimo, grande viaggio. Armiamoci dunque di coraggio e osiamo dire: Signore io credo! E beati saremo insieme con coloro che hanno creduto. Amen.
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