Pubblichiamo l'omelia XV di s. Leone Magno, papa di Roma.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(omelia 15 sulla passione del Signore, 3-4; PL 54, 366-367)
Colui che vuole onorare veramente la passione del Signore deve guardare con gli occhi del cuore Gesù Crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la propria carne. Tremi la creatura di fronte al supplizio del suo Redentore. Si spezzino le pietre dei cuori infedeli, ed escano fuori travolgendo ogni ostacolo coloro che giacevano nella tomba. Appaiano anche ora nella città santa, cioè nella Chiesa di Dio, i segni della futura risurrezione e, ciò che un giorno deve verificarsi nei corpi, si compia ora nei cuori. A nessuno, anche se debole e inerme, è negata la vittoria della croce, e non v’è uomo al quale non rechi soccorso la mediazione di Cristo. Se giovò a molti che infierivano contro di lui, quanto maggiore beneficio apporterà a coloro che a lui si rivolgono! L’ignoranza dell’incredulità è stata cancellata. È stata ridotta la difficoltà del cammino. Il sacro sangue di Cristo ha spento il fuoco di quella spada, che sbarrava l’accesso al regno della vita. Le tenebre dell’antica notte hanno ceduto il posto alla vera luce.
Il popolo cristiano è invitato alle ricchezze del paradiso. Per tutti i battezzati si apre il passaggio per il ritorno alla patria perduta, a meno che qualcuno non voglia precludersi da se stesso quella via, che pure si aprì alla fede del ladrone. Procuriamo che le attività della vita presente non creino in noi o troppa ansietà o troppa presunzione sino al punto da annullare l’impegno di conformarci al nostro Redentore, nell’imitazione dei suoi esempi. Nulla infatti egli fece o soffrì se non per la nostra salvezza, perché la virtù, che era nel Capo, fosse posseduta anche dal Corpo. «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), nessuno lasciando privo della misericordia, ad eccezione di chi rifiuta di credere. E come potrà rimanere fuori della comunione con Cristo chi accoglie colui che ha preso la sua stessa natura e viene rigenerato dal medesimo Spirito, per opera del quale Cristo è nato? Chi non lo riterrebbe della nostra condizione umana sapendo che nella sua vita c’era posto per l’uso del cibo, per il riposo, il sonno, le ansie, la tristezza, la compassione e le lacrime? Proprio perché questa nostra natura doveva essere risanata dalle antiche ferite e purificata dalla feccia del peccato, l’Unigenito Figlio di Dio si fece anche Figlio dell’uomo e riunì in sé autentica natura umana e pienezza di divinità. È cosa nostra ciò che giacque esanime nel sepolcro, che è risorto il terzo giorno, che è salito al di sopra di tutte le altezze alla destra della maestà del Padre. Ne segue che se camminiamo sulla via dei suoi comandamenti e non ci vergogniamo di confessare quello che nell’umiltà della carne egli ha operato per la nostra salvezza, anche noi saremo partecipi della sua gloria. Si adempirà allora sicuramente ciò che egli ha annunziato: «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio, che è nei cieli» (Mt 10, 32).
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