Gli Improperia Majora: un gioiello liturgico della Chiesa Latina

 Gli Improperia Sono i versetti cantati antifonicamente e responsorialmente durante l'adorazione della Croce del Venerdì santo, ai Presantificati. Il testo, probabilmente derivato dall'apocrifa Apocalisse di Esdra, immagina i "rimproveri" che Gesù rivolge agli ebrei dalla croce. Di fatto parte di questi sovrappongono le parole di Cristo a quelli di Dio stesso quando ricorda agli ebrei la salvezza concessa attraverso Mosé. Il rito, testimoniato a Gerusalemme nel III sec. (descritto da Eteria) fu accolto anche in Occidente verso il VI secolo. La pratica comune si ritiene redatta da s. Gregorio Magno (+604). Il canto si struttura in due sezioni: La prima parte prevede tre improperia (destinate ai solisti del coro): 

Popolo mio, che ti ho fatto? In cosa ti ho contrariato? Rispondimi. — Ti ho liberato dall'Egitto e tu prepari la croce per il tuo salvatore?

Ti ho condotto quarant'anni attraverso il deserto, ti ho cibato con la manna, ti ho portato in una terra rigogliosa e tu prepari la croce per il tuo salvatore?

Cos'altro dovrei fare che non ho fatto? Ho piantato per te la mia florida vigna e tu ti sei comportato in modo così amaro: hai dato aceto per dissetar la mia sete e hai aperto il fianco con una lancia al tuo salvatore.

A cui ogni volta risponde il primo coro con il Trishagion greco (da hagios, santo) a cui replica l'altro coro con la traduzione latina.

Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi.


L'inno cantato in latino in melodia ornata

Di seguito proponiamo i codici del rito romano antico (pubblicati da Max Lütolf, Das Graduale von Santa Cecilia in Trastevere, Köln–Genève: Fondation Martin Bodmer, 1987) tenta di ricostruire la pratica del VII secolo, con i paraphonistes (ovvero le voci gravi di bordone), una tecnica ornamentale che la notazione successiva non trascriveva più, e un uso diffuso di un'intonazione non diatonica, resi pubblici dal sito Examenapium.it









La melodia, lenta e preziosa, ben si presta a tutte le lingue, non solo al latino, e in italiano assume un tratto semplicemente perfetto. 

Questo inno, cantato durante la solenne venerazione della Croce, vuol essere una ode alla benevolenza del Signore e un memorandum per noi cristiani di non emulare gli antichi ebrei che, accecati dall'odio verso il Cristo, lo hanno prima dato ai pagani affinché lo flagellassero, per poi lasciarlo crocefiggere. Numerosi sono i rimandi al Nuovo Testamento e ai suoi simboli: il Signore ci ha dato la Vigna, che è il suo regno, così come la lancia che ha perforato il costato, mentre il brano si apre con la storia della salvezza del popolo ebraico: il deserto, la manna, la conquista della Terra Promessa. 

Ascoltando queste parole così dolci e così amare al tempo stesso, come nel tempo sublime e terribile della memoria della morte di Dio, non si può rimanere indifferenti. Che il Signore ci dia il coraggio e la forza di lavorare nella sua Vigna, e di non far compagnia agli infedeli che sogghignavano vedendolo pendere dalla Croce. 

Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi. Amen. 

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