Un saggio di Aloisio Alessio Gullo sulla sorella di san Benedetto e sulla sua spiritualità, toccando con profondità una figura troppo spesso dimenticata: Santa Scolastica.
«Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro» (Cantico 2,8-3,5).
Il nome di santa Scolastica, sorella gemella di san Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale. Certamente la regola di Benedetto, che prevede la stabilità della vita in comune, non riguardava i soli monasteri maschili da lui fondati, ma la sua osservanza si estendeva anche alla vita monastica femminile, inizialmente attraverso sua sorella Scolastica.
San Benedetto invita a servire Dio vivendo in comunità durature, organizzate e stabili, dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro, studio e riposo.
La vita che propone è condizionata dal Si revera Deum quaerit...(Se veramente cerca Dio) (RB 5 8,7), si tratta del percorso verso quell’unum che troviamo in san Dionigi Areopagita (uomo di una cosa sola) in cui Dio polarizza gli interessi. Questo il senso che papa Gregorio (Dialoghi, 35) dà al raggio di luce in cui Benedetto contempla tutto il mondo, un raggio di luce che lo unisce a Dio che cerca l’uomo, perché è Dio che cerca l’uomo (Gen. 3,9). “Dove sei?”.
L’incarnazione di Cristo è proprio l’annuncio di questo amore proveniente da Dio "Il Figlio dell'Uomo e` venuto a cercare..." (Lc.19,10; cf.Lc.15,1-7; Giov.10,10-16).
La proposta di Benedetto consiste in una vita animata dall'amore di Cristo - Nihil amori Christi praeponere (Nulla anteporre all'amore di Cristo) (RB 4, 21), e conseguentemente dal desiderio della preghiera- Nihil Operi Dei praeponatur (Niente venga anteposto all'Opera di Dio) (RB 43, 3), dove la liturgia è al primo posto tra le opere, per stabilire nelle anime il regno di Cristo.
Affidandoci a papa Gregorio, possiamo dire che la vita di Scolastica si è realizzata pienamente in questa direzione. Poco sappiamo di lei, ma ciò che conosciamo è abbastanza perché ci fa comprendere la profondità del suo essersi radicata in Cristo. L’unica fonte (storicamente vicinissima alla sua esistenza) è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Nata verso il 480, Scolastica è attratta -come il fratello- fin dalla fanciullezza verso una vita interamente caratterizzata dalla ricerca e dall’unione a Dio. Come già detto, non abbiamo molte notizie, ciò che conosciamo è quanto ha scritto lo stesso Gregorio Magno, che le dedica uno dei momenti più significativi del secondo libro dei “Dialoghi”, in cui si apprende che Scolastica, sorella gemella di Benedetto, è diventata anche sua gemella nella vita monastica, scelta per conformarsi a Cristo.
Non si ha alcuna certezza su quanto abbia fatto dopo la scelta di Benedetto di abbandonare Roma e il suo ritira a Subiaco, ma è probabile che lo abbia seguito fin dai primi tempi, sebbene con modalità adatte alla sua personale ricerca e condizione femminile.
Questa considerazione è giustificata dal fatto che lo stesso papa Gregorio ci dice che i due fratelli si vedevano ogni anno, affermando in tal modo che l’ultimo episodio da lui narrato, ormai verso la fine del cammino terreno di santa Scolastica, non è un momento unico.
In quest'ultimo incontro in un luogo vicino al monastero di Piumarola, la cui fondazione è attribuita alla stessa Scolastica, anche se la distanza da Montecassino sembra notevole e deve considerarsi il fatto che non corrisponde a quanto tramandato dall’anonimo cassinese (del X secolo) che ci informa che il monastero di Scolastica, consistente in un gruppo di celle, era ben visibile dalla finestra della torre da cui Benedetto vide volare al cielo la sua anima sotto forma di colomba.
Dal racconto di papa Gregorio, che riguarda solamente gli ultimi episodi della sua vita, leggiamo che santa Scolastica giunta in vista della meta, altro non desidera che Dio e la comunione con lui.
Di questo vuole parlare con il fratello supplicandolo di proseguire la meditazione per l’intera notte, così come è scritto nella Regola: Desiderare con tutto l'ardore dell'animo la vita eterna (RB 4, 46).
Tuttavia Benedetto vuole tornare al proprio monastero, ma proprio la preghiera, sgorgante da un cuore puro e ardente, è la forza con la quale la sorella vince la sfida con il fratello, che si mostra più attento all'austera disciplina, un chiaro esempio di come l’amore superi la norma, la legge.
Si potrebbe correttamente dire che, tuttavia, anche la preghiera di Scolastica è la realizzazione fedele di quanto Benedetto ha proposto nella sua Regola: «non dobbiamo forse elevare con tutta umiltà e sincera devozione la nostra supplica a Dio, Signore dell'universo? E rendiamoci ben consapevoli che non saremo esauditi per le nostre molte parole, ma per la purezza del nostro cuore e la compunzione fino alle lacrime» (RB 20, 2-3), certamente è innegabile, ma anche la spontaneità dell’amore è verticalizzazione, è soddisfazione immediata del desiderio di unione con l’amato sposo (Cristo), anche il puro e forte slancio di Scolastica è nelle corde di Benedetto è un comune sentire un afflatus cordis, che in un certo senso riecheggia la famosa espressione di Tertulliano Ego voco lacrymas afflatus cordis fatigatur dolens.
Con l'intensità della sua supplica e l'abbondanza delle sue lacrime, Scolastica ottiene dal Signore il miracolo di un repentino mutamento atmosferico.
Il cielo sereno cede il posto ad un improvviso temporale e la pioggia scrosciante impedisce a Benedetto di ripartire, donando a Scolastica la gioia di rimanere più a lungo con lui per pregustare, nella comune contemplazione dei due fratelli e dei monaci presenti all’incontro, le gioie del cielo.
Questo miracolo ci fa comprendere che per essere pervenuta a tale intensità di vita interiore e di preghiera da poter essere esaudita dal Signore all'istante, la santa sorella del patriarca dei monaci occidentali aveva certamente trasformato la sua vita in un generoso e alacre cammino di conversione, giungendo all’essenziale Carità attraverso l’unificazione interiore.
Aveva vissuto fedelmente la vocazione monastica secondo la Regola, non mancando anche in questa occasione di osservarla.
Scopriamo quindi che nell’unico episodio, in cui si parla di lei, Scolastica ci appare come donna dotata di una forte personalità, dolce e affettiva e ferma nelle sue aspirazioni, ma anche serena e certa dell’intervento di Dio, che con la sua presenza la fa passare in un attimo dalle lacrime al sorriso.
In fondo ha creduto alle parole del fratello che nel Prologo della sua Regola invita a rivolgersi -nelle difficoltà- a Colui cui tutto è possibile. Dopo una vita in assoluta fedeltà alla chiamata divina, giunta alla piena maturità, dimostra di avere conservato la stessa fede semplice dei primi giorni, in cui la presenza dello Spirito ispirava, sosteneva e guidava il suo entusiasmo, nel superamento delle paure provocate dalla stessa novità di vita e dalla scoperta sulla propria pelle dell’imprevisto. Tutto ciò è presente nel racconto di papa Gregorio, assieme alla forza interiore di Scolastica, alla sua tenacia, alla sua dolcezza nella lotta, che hanno caratterizzato la vita ascetica delle grandi figure che come lei hanno optato per l’unica scelta che veramente serve.
L’episodio del temporale scatenato per la sua preghiera è una delle più belle pagine della spiritualità cristiana di ogni tempo. Nel narrarcelo Gregorio evidenzia l’intima unione tra Scolastica e il Signore, dovuta alla capacità di aderire in un “unico” alla persona di Cristo, perché Dio è amore “ fu quindi giustissimo” che potesse di più colei che amava di più” ( Dialoghi 33), ma leggiamo l’episodio.
Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la sera, presero insieme un po' di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l'ora si era protratta più del consueto.
Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: "Ti chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del cielo... ".Ma egli le rispose: "Ma cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero".
La serenità del cielo era totale: non si vedeva all'orizzonte neanche una nube.
Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo le mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d'acqua, in tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch'eran con lui, poterono metter piedi fuori dell'abitazione.
La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul tavolo un fiume di lacrime, per le quali l'azzurro del cielo si era trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia. L'uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e allora, un po' rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella: "Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?". Rispose lei: "Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me lasciami qui e torna al tuo monastero". Ormai era impossibile proprio uscire all'aperto e lui che di sua iniziativa non l'avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si riempirono l'anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di vita spirituale. Il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.
Morte e sepoltura di santa Scolastica; miniatura di Jean de Stavelot (XV secolo). Chantilly, Musée Condé.
Papa Gregorio si sofferma a commentare l’episodio vi fu qualcosa che l'uomo di Dio, pur volendolo, non poté ottenere. Se infatti consideriamo la sua intenzione, appare in tutta evidenza il suo desiderio che il cielo si mantenesse sereno come quando era sceso dal suo monastero.
Ma contrariamente a quanto desiderava, egli si trovò davanti a un miracolo operato per la potenza di Dio dal cuore ardente di una donna, quasi come un nuovo miracolo di Cana, perché l’inattesa pioggia consente di prolungare la gioia dell’incontro conviviale. In quell'occasione poté di più la sorella, che desiderava trattenersi più a lungo con lui. Secondo la parola di Giovanni, infatti, Dio è amore, quindi, poté di più colei che amò di più. Il volto di santa Scolastica (ma anche la prima immagine che viene alla mente, quando il pensiero va a lei) è per sempre scolpito da queste parole del racconto di san Gregorio Magno: «... quia enim juxta Johannis vocem, Deus caritas est, justo valde judicio illa plus potuit, quae amplius amavit».
Ma la narrazione di papa Gregorio si arricchisce di un altro momento in cui santa Scolastica ci appare in tutta la sua grandezza.
“Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi al cielo, vide l'anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli. Ripieno di gioia, per averla vista così gloriosa, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che egli aveva già preparato per sé. Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un'anima sola in Dio.” (D II, 33-34).
Questa è l’immagine che Benedetto poté contemplare con i suoi stessi occhi, mentre pregava affacciato alla finestra della sua cella. Gregorio unisce Scolastica e Benedetto anche nel transito, attraverso l’immagine dell’andare verso il Paradiso nella profondità dei cieli.
Questo è il momento del passaggio in cui trova piena realizzazione quella tensione escatologica che percorre tutta la Regola e che ha caratterizzata la vita di Scolastica. Meditando sugli episodi della sua vita, che ci sono giunti, lo sguardo si addolcisce e si immerge nelle misteriose profondità del cielo, dove la sua anima, sotto le sembianze di bianca colomba, è penetrata.
Come se non bastasse tutto ciò, la profonda unione che esiste tra i due gemelli, a suggello di una vita spirituale comune, trova ulteriore conferma nella decisione di san Benedetto di deporre il corpo della sorella nello stesso sepolcro, preparato per sè a Montecassino. E’ un momento intenso e ricco di significato. Benedetto conosce certamente l’elogio marmoreo, collocato da papa Damaso nelle catacombe di san Callisto sulla via Appia, in ricordo della propria sorella Irene, vergine consacrata al Signore, ove lo stesso papa volle essere sepolto accanto alla propria madre e alla propria sorella. Queste parole che trascrivo, riflettono anche la figura di santa Scolastica e sintetizzano gli episodi della sua vita che noi possiamo solo immaginare.
“Riposano finalmente in questo sepolcro le spoglie della sorella di Damaso a nome Irene, Vergine a Dio consacrata. Non aveva ancora raggiunto i quattro lustri, quando dedicò a Cristo il fiore della sua vita. Il suo sacro pudore dimostrava la maturità della sua virtù. Con le opere egregie prevenne gli anni giacché la veneranda pietà della giovinetta garantiva la saldezza dei suoi propositi, i quali negli anni più belli maturano frutti meravigliosi. La nostra genitrice, unico teste del nostro fraterno affetto, nell’atto di abbandonare il mondo per il cielo, mi ti affidò, o sorella, quale pegno del suo amore per noi. Non ne piansi la morte perché volava dritto in Paradiso, ma piansi, lo confesso, per averne perduto la compagnia.
Ora che stai per arrivare il Signore, ricordati di noi o Vergine, perché Dio mi conceda luce al chiarore della sua lampada.” Così Benedetto fece allargare la propria sepoltura in modo da accogliere il corpo di Scolastica, riservandole il posto alla sua destra e ricoprendo il volto di Scolastica, allo stesso modo di quello di Irene, con il velo simbolo della scelta verginale.
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