San Benedetto nei Dialoghi di s. Gregorio Magno

Articolo del servo di Dio Aloisio Gullo.

 Chi entra in Subiaco fa il suo primo incontro con la scrittura che un anonimo cenobita benedettino ha scolpito sullo stipite della porta: Nonnisi in obscura sidera nocte micant (mai rifulgono tanto le stelle quanto nell’oscura notte).

Verrebbe voglia di dire, con questo anonimo monaco, che mai sono state scritte parole più adeguate per riassumere la vita e l’opera di Benedetto da Norcia.

Si, non ci sono parole più adeguate per parlare della figura di San Benedetto, della sua vita e  per descriverne la grandezza in un mondo “distrutto” e da ricostruire su ciò che Benedetto sentiva dentro di sé, quel desiderium Dei con cui lo Spirito lavorava il suo cuore, aprendolo al mistero dell’Uno e Trino Dio, trasformando quel giovane chiamato nella durezza dello speco di Subiaco a professare Cristo quale vero amore della sua vita Nihil amori Christi praeponere.   Quella luminosa stella nel buio della notte ci riporta alla mente San Gregorio Magno, che, come Benedetto e a distanza di pochi decenni, visse la tragica fine di un mondo che non sarebbe più tornato e che solo in Cristo ha avuto la forza per proseguire e rinascere. Nella totale distruzione del mondo antico, papa Gregorio, che più di tutti ha sofferto per la fine di un’era, ha cercato il modo per venir fuori dall’oscura notte ed ha presentato il “traghettatore” Benedetto, come esempio proponibile a tutti, cogliendo la grandezza della sua opera, conscio che la vita da lui proposta avrebbe garantito il passaggio dall’antichità classica, ormai definitivamente  crollata ad una nuova era. Ed è proprio Gregorio Magno a dare lo spunto all’anonimo monaco di Subiaco, quando descrive la visione del glorioso transito: 

A due fratelli, uno dei quali stava in monastero, l’altro fuori, apparve una identica visione. Videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente di innumerevoli lampade, che dalla sua stanza volgendosi verso oriente si innalzava diritta verso il cielo. In cima si trovava un personaggio di aspetto venerando e raggiante di luce, che domandò loro di chi fosse la via che contemplavano. Confessarono di non saperlo. "Questa - disse egli - è la via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al cielo.

Benedetto sale in cielo attraverso una via luminosa e splendente, che è la sua stessa vita.

Le fonti in nostro possesso, che ci danno la possibilità di conoscere San Benedetto (480-547) sono I Dialoghi di San Gregorio Magno  e la Regola scritta dallo stesso abate cassinese.  Altra fonte che ci parla di lui è il Carme del monaco Marco, menzionato da Paolo diacono nella sua opera De gestis Longobardorum, si tratta di alcuni distici che parlano del viaggio da Subiaco a Cassino. Un veloce sguardo all’opera di Gregorio, secondo libro dei Dialoghi .  Certamente oggi quando parliamo di vita di un qualsiasi personaggio, subito ci vengono alla mente coordinate storiche  e geografiche ben precise. Ma il libro dei Dialoghi non ci offre molto soprattutto dal punto di vista delle indicazioni cronologiche, totalmente assenti  in quanto si tratta di un’opera che non ha fini storici. Infatti l’opera del grande papa monaco, scritta col metodo dialogico (tra il papa e il diacono Pietro) non fornisce notizie di natura storica, essendo un’opera agiografica e quindi orientata a fare conoscere le virtù e i prodigi compiuti. Infatti è lo stesso Gregorio a rimandare per una migliore conoscenza di Benedetto, che definisce vir Dei, uomo di Dio, alla Regola dallo stesso scritta, esaltando la dottrina del santo abate e affermando che non visse diversamente da come scrisse. 

Gregorio (+ 604) scrive i Dialoghi intorno all’anno 593. L’opera si compone di quattro libri che contengono una lunga serie di vite di vescovi e monaci italici veri uomini di Dio. Il secondo di questi libri è interamente dedicato alla figura di Benedetto: “Benedetto di nome e di grazia”. La centralità di Benedetto, in quest’opera gregoriana,  è dovuta al desiderio del papa monaco di trasmettere il messaggio di una vita evangelica accessibile a tutti, attraverso la testimonianza di un abate che ha fatto della Scrittura la sua unica regola.  San Gregorio è perfettamente consapevole che la vita monastica  è  esperienza dello Spirito,  è un essere afferrati da Cristo,  Benedetto rappresenta quella vita a cui lui stesso tanto anela.   

Infatti, è noto che il grande Gregorio vive nel continuo desiderio della vita contemplativa che aveva dovuto abbandonare per il pontificato. ed è profondamente combattuto fra il desiderium Dei monastico  e la vita nel mondo.  Consapevole del proprio combattimento  interiore,  Gregorio, probabilmente, ne lascia una profonda traccia nel suo lavoro, ove traspare il suo rispecchiarsi nella vita proposta.    Gregorio pensa anche a se stesso, quando detta al diacono Pietro la vita di Benedetto, nel riportare alcuni episodi in cui il santo abate è descritto nel momento della preghiera per i fratelli e non ultimo nel momento del transito: 

“..sostenendo le sue membra, prive di forze, tra le braccia dei discepoli, in piedi, colle mani levate al cielo, tra le parole della preghiera, esalò l’ultimo respiro". Nel narrare l’episodio del transito Gregorio si innalza al di sopra della visione del diacono che gli fa osservare: “Quanto dici è veramente ammirevole e stupendo. Infatti l’acqua fatta scaturire dalla roccia mi fa pensare a Mosè, il ferro che risale dal fondo dell’acqua mi fa vedere Eliseo; in Mauro che cammina sulle acque vedo Pietro; nell’obbedienza del corvo ricordo Elia, nel dolore per la morte del nemico, Davide”. 

Per Gregorio, Benedetto imita Mosè, non solo ottenendo di ripetere uno dei prodigi più famosi dell’Esodo, ma molto di più perché in tutta la sua vita, come Mosè,  è il grande intercessore che sul monte, davanti a Dio, “lotta nella preghiera” a favore dei suoi fratelli. Gregorio ribadisce: “Pietro, l’uomo di Dio, Benedetto, ebbe in sé lo spirito di Colui che, unico, per la grazia della Redenzione a noi concessa, riempì i cuori di tutti gli eletti”(Dial. II,8,8-9).    L’opera è senza dubbio influenzata da quel forte desiderio di rientrare in se stesso, recuperare quella “quiete” abbandonata per “il fardello della vita pastorale” e rifugiarsi quasi in un ideale unione con uomini che hanno abbandonato il mondo. Gregorio porta la sua lotta interiore all’esterno. 

Da un lato anela e descrive la vita contemplativa verso cui si sente portato, dall’altro lato esercita il suo servizio pastorale edificando. Non vi è ricerca storica, nel senso di scienza come la intendiamo oggi,  per un sentimento spontaneo che nasce in lui ed esplode nella narrazione di vite, e di fatti, così come lui  sente interiormente, sentendosi  soddisfatto.    Gregorio raccoglie le notizie che ha sul santo di Norcia, e lo fa ricorrendo a quelle che già fanno parte di una certa tradizione orale, ma ha anche  l’opportunità di conoscere la vita di Benedetto direttamente da alcuni monaci che lo hanno conosciuto, come ci dice lui stesso: 

“Non conosco tutti i fatti di lui; quel poco che sto per narrare l’ho saputo da quattro suoi discepoli che me lo hanno raccontato, essi sono: il reverendissimo Costantino uomo degno che è stato suo successore nel governo del monastero; Valentiniano che fu per molti anni superiore del monastero presso il Laterano, Simplicio che per terzo governò la sua comunità; e infine Onorato che ancora governa il monastero in cui il santo abitò nel primo periodo di vita monastica".

Da qui la biografia di Benedetto, dell’uomo “desideroso di piacere a Dio solo” che, dopo essersi ritirato dal mondo, raggiunge la pienezza dell’essere uno in Cristo nella dilatazione del cuore, che gli permette di ritrovare nella luce di Dio tutto il mondo.

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