Gli oblati

 Il termine oblato viene dal latino oblatum, ossia "(colui) che è offerto". A cosa? Al monastero. L'oblato era una persona, uomo o donna, che dedicava la sua vita al servizio di un monastero in qualità di bracciante, aiutante, benefattore o per qualsiasi incombenza del monastero in questione. Da qui il termine di chiamarli oblati. Gli oblati esistono fin da quando esistono i monasteri in Occidente, giacché già san Benedetto da Norcia nella sua Regola li cita, e parliamo della fine del V secolo. La posizione degli oblati all'interno della Chiesa era un po' liquida, nel senso che ci si aspettava che prima o poi compissero il grande passo e dessero i voti monastici. Tuttavia, attorno ai monasteri nascevano spesso villaggi di oblati sposati che, non dovendo stare ai voti di castità e povertà, ma solo a quello di obbedienza, si sposavano e vivevano fuori dal monastero, prestando servizio al suo interno. Agli oblati, con l'andare del tempo, si richiedeva una sempre maggior adesione alla Regola, compresa la presenza ai riti liturgici e alla disciplina del monastero. Nel XI secolo l'abate William di Hirsau (Germania) scrive che esistono due tipi di oblati: i frati conversi, cioè i monaci che non hanno dato i voti completi, e i frati oblati propriamente detti, ovvero laici che vivono al monastero. Sebbene gli oblati laici vestissero un saio monastico, era di foggia e di colore differente rispetto ai conversi e ai monaci. 

Tutte le regole occidentali, da quella di san Benedetto a quella di sant'Isidoro di Siviglia, passando per quella di san Leandro e di san Colombano d'Irlanda, hanno tutte un capitolo che prevede la descrizione delle incombenze degli oblati. 

La Regola benedettina illustra anche una (per noi) curiosa usanza: i bambini oblati. I bambini oblati erano fanciulli oppure neonati che venivano donati al monastero dai genitori, per vari motivi. Sia come ringraziamento per una Grazia ricevuta, sia per povertà: san Benedetto scrive il modo corretto di offrire i bambini al monastero: 

Se qualche persona facoltosa volesse offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il ragazzo è ancora piccino, i genitori stendano la domanda di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente e l'avvolgano nei lini dell'altare insieme con l'oblazione della Messa e la mano del bimbo, offrendolo in questo modo.[...] Quanto a coloro che non possiedono proprio nulla, facciano semplicemente la domanda e offrano il loro figlioletto con l'oblazione della Messa, alla presenza di testimoni. [1]

San Benedetto (a sinistra con la barba) riceve i monaci, affresco del Monastero di Monte Uliveto in Toscana, 1503-1504. 

I bambini oblati venivano considerati monaci in divenire e specialmente nei primi secoli del Cristianesimo si consideravano con molta durezza: solamente il Concilio Decimo di Toledo nel 656 d.C. proibì di accettare nei monasteri bambini inferiori ai dieci anni di età, e solo col loro previo consenso. Ai bambini oblati veniva permesso di lasciare il monastero solo dopo i quindici anni di età, quando potevano tornare nel mondo. Il destino dei bambini oblati era spesso quello di compiere i voti monastici alla fine dell'adolescenza. 

Per l'accettazione di un oblate adulto (vale a dire dopo i quindici anni di età) avviene una speciale cerimonia condotta al Capitolo dall'Abate, il quale fa recitare una parte della Regola al postulante, e dopodiché gli fa dire le promesse ovvero l'impegno a rispettare il Monastero e l'obbedienza spirituale che l'Abate gli darà. Occorre ricordare che l'oblazione è perpetua e può essere sciolta solamente dall'Abate. Gli oblati erano (sono) vincolati alla recita della Lectio Divina e alla frequentazione assidua della divina liturgia. 

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1) Regola di san Benedetto, capitolo LIX, 1-8. 

BIBLIOGRAFIA

"Oblates" in Catholic Encyclopedia - New York: Robert Appleton Company, 1913

Regola di san Benedetto, Mondadori, anno 2004

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