Pentiti, e credi al Vangelo (Marco 1:15) è la base scritturale della metanoia, del cambiamento interiore e della cristificazione della propria vita, richiesta ad ogni cristiano di buona volontà. Le due armi che la Chiesa offre, secondo ispirazione del Cristo stesso per la redenzione, sono "preghiera e digiuno" (cfr. Mt 17:14-21). Ma non solo. Per la perfetta vita cristiana occorre anche nutrirsi della Vita stessa, del Cristo Gesù, secondo le sue parole: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita (Gv. 6,54). Notiamo quindi come la penitenza per le proprie colpe vada accompagnata anche alla gioia della Comunione, per la quale, come dice san Paolo Apostolo, dobbiamo essere preparati. Nasce quindi un legame indissolubile fra la Penitenza, la confessione, e l'Eucarestia.
Storicamente, la Chiesa dei primi secoli vedeva la Confessione sacramentale solamente come un'azione da compiersi verso soggetti rei di peccati molto gravi, come apostasia, omicidio, e simili. La confessione veniva amministrata solo in punto di morte, e la coscienza dei cristiani di allora imponeva loro di non comunicarsi ai santi Misteri qualora fossero macchiati di colpe e trasgressioni. Possiamo confrontare questa prassi sia nel Pastore di Erma, nelle cui pagine traspare come il vescovo gestisse le penitenze dopo una confessione pubblica dei peccati [1]. Dalla metà del III secolo abbiamo conferme che la Confessione sacramentale fosse un atto pubblico [2], secondo il precetto apostolico: confessatevi le colpe gli uni agli altri (Giacomo 5:16). Con la diffusione e l'accettazione della pratica cartaginese proposta da san Cipriano [3] la confessione divenne gradualmente un fatto più comune e iniziò a praticarsi la confessione privata. Nel frattempo, a causa della graduale formazione della Quaresima e quindi della penitenza pubblica per i malfattori e i peccatori impenitenti, il Giovedì Santo iniziò a formarsi, in Occidente, il rituale di reintegro degli scomunicati, ancora praticato fino al Basso Medioevo inoltrato. In questo rito si nota come la forma di assoluzione pubblica dinnanzi alla comunità risenta della confessione all'aperto che si svolgeva nei primi secoli. In Oriente, i Canoni di san Basilio (+379) offrono una completa quanto dura visione della confessione e dell'emendazione delle colpe, compresa la scomunica dall'Eucarestia per alcuni peccati. L'approccio basiliano è rimasto pressoché invariato nelle Chiese d'Oriente fino al secolo scorso, quando si ravvisa un decisivo allentamento delle pene e una generale generosità nel riammettere i penitenti e concedere l'Eucarestia più spesso. In Occidente invece una prima reazione alla scomunica eucaristica connessa con la confessione si ha nel sinodo burgundo del 517 a Epaone, il cui canone XXVIII stabilisce che gli scomunicati debbano lasciare l'assemblea eucaristica insieme coi catecumeni, mentre per gli altri "penitenti" (sotto penitenza canonica) è permesso rimanere fino alla fine della liturgia ma senza poter gustare del Calice. [4]. I monaci irlandesi, per rimanere nel mondo occidentale, furono coloro che adottarono un sistema nuovo di gestire il rapporto fra comunione e penitenza, il quale poi si diffuse in tutto il mondo latino. La pratica della confessione del monaco col suo padre spirituale, tipica dell'Occidente e dell'Oriente, fu poi trasposta sulle parrocchie col rapporto fedele-sacerdote. Possiamo semplificare al massimo il sistema irlandese con una sorta di rapporto giuridico fra soddisfazione e giustizia: per ogni peccato il penitente deve produrre un'azione spirituale in grado di "soddisfare la giustizia divina", cancellando così il peccato. Questo modo di vedere la confessione come quindi una sorta di tribunale spirituale sarà portato ad estreme conseguenze con la filosofia scolastica e poi con la dottrina delle indulgenze e darà spago ad ilari concezioni come le "opere super-erogatorie". La Chiesa Ortodossa invece vede nella confessione sì un modo per conoscere il peccato e ricevere una penitenza (epitimia), ma non come un do ut des, bensì come una forma di riabilitazione spirituale e di terapia per l'anima. Molto probabilmente così è da intendere anche l'originale forma confessionale degli irlandesi, che difatti prevedevano una confessione giornaliera per i monaci, così come tuttora si fa in alcuni monasteri orientali, unita ad un discernimento e ad un colloquio spirituale col confessore, atto a cercare consiglio.
Quando noi accettiamo il mistero della Penitenza, della conversione quotidiana della nostra anima a Dio, accettiamo la grazia che ci è stata data all'Iniziazione ai Misteri, al sacramento del Battesimo, col quale siamo stati mondati dal peccato ancestrale, e dalla Cresima, con la quale abbiamo ricevuto il sigillo dello Spirito Santo e siamo stati resi "tempio dello Spirito", capaci di avere e di preservare i doni del Paraclito. La pratica della Confessione frequente è una buona e sana abitudine, così come una Comunione frequente, per chi può permetterselo. La Chiesa ha difatti stabilito preghiere e precetti preparatori per l'incontro col Cristo nella Eucarestia, al fine di essere interiormente più lucidi nell'avvicinarsi ai santi Misteri eucaristici.
San Giovanni Cassiano scrive [5]:
Non dobbiamo rifiutare la Comunione col pretesto di ritenerci peccatori: ma anzi, accostiamoci ad essa con maggior frequenza, per la guarigione dell'anima.
La Comunione è per rimanere uniti a Cristo e nutrirci spiritualmente della sua Presenza dentro di noi, mentre la Confessione è il balsamo da applicare ai nostri peccati per cercare di ritrovare quella grazia divina che vive in noi.
-----------------------------------------------------
FONTI E NOTE
1) Osborne, Kenan (November 28, 2001). Reconciliation and Justification: The Sacrament and Its Theology. Wipf and Stock Publishers. ISBN 9781579108199
Martos, Joseph , Doors to the Sacred, Ligouri, 2001
2) Tsirpanlis, Constantine N. Eastern Patristic Orthodox Theology. Liturgical Press, 1991. Pag. 140-141
3) Poschmann, Bernhard , Penance and the Anointing of the Sick, translated by Courtney, Francis, New York: Herder & Herder (1964)
4) Cyrille Vogel, Le pécheur et la pénitence dans l'Église ancienne (Paris: Cerf 1982) 36
Commenti
Posta un commento